Il treno è di quelli come non ci sono quasi più. Stavolta ho
preso un posto cuccetta, e così posso usufruire del conduttore di carrozza che
mi dà lenzuola pulite e una coperta. Riesco anche a dormire. Alla frontiera
questa volta, forse per il fatto che sono un passeggero di lusso, non fanno
problemi, e il poliziotto serbo mi augura anche buon viaggio.
Arrivo a Belgrado alle nove e venti, con un’ora canonica di
ritardo per il treno trans-balcanico (come l’anno scorso, come anche quest’anno
poi al ritorno). Omer mi aspetta sul marciapiede di una stazione che per
dimensione in Italia hanno solo le piccole città. Omer mi aspetta con la sua
solita freddezza, neppure scaldata dal fatto che da molto non ci vediamo, e che
ora ci incontriamo entrambi lontani da casa.
Compriamo i biglietti per l’autobus fino a Pale. Aspettiamo
il nostro pullman parlando ad alta voce in italiano, sicuri del fatto che
nessuno ci possa capire. “Ragazzi, siete italiani?” uno ci capisce. È Nicola,
un ragazzo di Bari, con la ragazza a Timisoara, che è venuto a Belgrado per
trovare degli amici. Qui ha vissuto un anno, ha fatto la sua tesi su uno
scrittore serbo poco conosciuto, di cui ho naturalmente già dimenticato il
nome. Ora lavora in un programma di aiuto nel quadro delle Nazioni Unite in un
paese vicino a Saraievo, dove è anche lui diretto.
Il viaggio in autobus comincia. Io e Omer abbiamo molte cose
da raccontarci, e la gente del pullman è forse un po’ stupita nel vedere due
ragazzi stranieri diretti a Pale. Una ragazza dietro mi chiede, in italiano, se
parlo inglese, le dico di sì. Per ora finisce lì il nostro dialogo.
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